lunedì 20 dicembre 2010

Donna uccisa da uno squalo a Sharm El Sheik

Quello che non capirò mai è perché notizie come queste generino un eco tanto forte da finire sulle prime pagine di giornali e tg. Se la vittima invece di nuotare nel Mar Rosso fosse stato un escursionista ucciso da una vespa (l'animale, non la moto...), sicuramente nessuno avrebbe degnato di un sguardo il malcapitato.
Credo saremo tutti d'accordo sul fatto che la solida terra, in tutte le sue forme, rappresenti un habitat più affine all'uomo di quanto non possa rappresentare il mare. Nonostante questo, "esperti", o presunti tali, in queste occasioni si interrogano sempre sull'arcano mistero: "Come mai è successo?".
Ora, io non sarò Jacque Cousteau, ma mi pare ovvio che nel momento in cui una persona si immerge nelle acque di un mare/oceano implicitamente entra a far parte di una catena alimentare e si assume quindi il rischio di poter venir ucciso da un predatore. Nessuno ci penserà mai (io si però...), ma questa è la realta dei fatti. Sarebbe come se uno decidesse di farsi una passeggiata nella savana e poi si stupisse di venir attaccato da un leone. Tutto qui.
L'idea poi di "uccidere lo squalo per evitare che colpisca di nuovo" oltre che stupida, è anche inutile. Stupida perché l'animale andrebbe ucciso subito come difesa dall'attacco e non a posteriori come se si trattasse della condanna di un tribunale. Inutile perchè lo squalo potrebbe sì attaccare di nuovo dopo pochi giorni, ma in un luogo diverso. Oppure potrebbe attaccare dopo molto tempo o anche non farlo mai più nella sua vita.
Eviterei quindi stupidi allarmismi e odiose fobie da caccia alle streghe. Come un paracadutista ha più probabilità di me di finire schiantato al suolo, ogni appassionato della nuotata ha più probabilità di finire tra le fauci di uno squalo di quante non ne abbia un taglialegna. In alternativa c'è sempre la piscina.

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